Recensione su Mennonitische Geschichtsblätter

Prof. Martin Rothkegel, Mennonitische Geschichtsblätter, anno 2019

Il teologo battista Raffaele Volpe, già presidente dell’Unione Cristiana Evangelica Battista in Italia (UCEBI) negli anni 2010-2016, ha cercato nel suo libro di costruire, privilegiando un orientamento pratico, una visione d’insieme del patrimonio spirituale del movimento anabattista.  Nell’ambito del protestantesimo tedesco il termine “spiritualità” viene attualmente utilizzato, in modo principale, per descrivere gli elementi di pratica della pietà – presi spesso fuori dal contesto e quindi fraintesi – sia cattolica che ortodossa. Ma non di questo si parla nel libro, piuttosto Volpe invita la lettrice – nel libro è privilegiata la forma femminile – ad intraprendere, sulla base delle testimonianze di fede anabattiste, un processo di apprendimento della vita cristiana.

L’autore lascia  la parola, attraverso numerose citazioni, alle donne e agli uomini anabattisti del  sedicesimo e diciassettesimo secolo.  Anabattisti svizzeri, tedeschi e olandesi, ma anche Andreas Karlstadt e Thomas Müntzer, possono prendere la parola e dire la loro. Nei dodici capitoli del “Manuale” si trovano aspetti come l’abbandono (Gelassenheit), la comunità dei beni, la rinascita, il discepolato, la Cena del Signore e la non violenza. Sono raramente utilizzate le più attuali interpretazioni della tradizione anabattista da parte dei moderni teologi sistematici.  È significativo che di J. H. Yoder viene utilizzata soltanto la ricerca storica più remota “Anabattismo e Riformatori”. L’intenzione dell’autore non è quella di scrivere una sintesi teologica o etica, né dare un contributo alla ricerca storica, ma riscoprire la testimonianza anabattista in funzione di una pratica della fede personale, comunitaria e sociale dei cristiani evangelici di oggi.

L’autore, scrivendo in un contesto sociale italiano in cui la fede evangelica e i processi di emancipazione sono sempre stati strettamente uniti, non  interpreta i movimenti battisti non conformisti come gruppi settari in fuga dal mondo, ma come la testimonianza di cristiane e cristiani maturi che vivono nel mondo.  Volpe, nel contesto di una teologia evangelicamente ben fondata e presumendo nella biografia di fede delle lettrici e dei lettori la personale conversione e la relazione con Cristo, non cade nel pericolo di una riduzione etica dell’evangelo. Coloro che hanno familiarità con la storia e le teorie sull’Anabattismo non troveranno nuove informazioni nel libro di Volpe, né troveranno regole e requisiti morali, ma troveranno certamente un invitante slancio, non invadente, verso una pratica nell’ “arte dei credenti di rimanere con Dio” ( p. 8).